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Jess Alba _he_esstice_eague — In her forward, Jacobs writes "Readers unwilling or unable to breach a barrier that they imagine separates humankind and its works from the rest of nature will be unable to hear what this book is saying." This is, in my experience, profoundly true, and much of what passes for economic intelligence and reason is little more than ideology propped up by delimited reason and thinking. I was pleasantly surprised at how Jacobs' ideas confirmed my own observation of the paucity of true rationality and reason within 'official' economic ideology. A few have commented on how much they disliked the dialogue approach Jacobs has taken in this book, but I found, after my initial surprise, that allowing it to move is a stimulating and enjoyable way of exploring ideas. I think that this book is a very important critique of economic practices, thinking and ideology. I was tempted to write powerful, but as this was written more than 20 years ago, and just about every manner of economic fallacy Jacobs discusses have become even more pervasive is a true measure of how unreasonable are those who in high places practice economic arcana that are bankrupting societies and people while enriching corporations and their owners.

Hanna Trussler hannatrussler — Lottare è sempre stata, più o meno, una forma di cecità. Cecità è un romanzo spietato, mi ha tenuto incollato alla pagina, malgrado i brividi, e ha regalato alle mie notti tonnellate di incubi. E' un romanzo spietato, ed è - forse, proprio per questo - un romanzo intimamente, irriducibilmente umano. In un contesto volutamente sfumato, appannato come la vista, si muovono personaggi ciechi e senza nome, mentre la cecità e tutto ciò che ne consegue strappa via le comodità della vita contemporanea e fa riscoprire la selvatica e bestiale natura umana. Ciò che colpisce e che resta, malgrado tutto, è un profondo senso di soffocamento: tangibile è la cecità imposta ai personaggi, non c'è dubbio sia merito della grande, grandissima scrittura da Nobel di Saramago. Il romanzo si può suddividere in blocchi narrativi ben definiti, che accentuano la sensazione di soffocamento: scoppiata l'epidemia, i ciechi vivono dapprima rinchiusi in quarantena, in una progressiva deprivazione di sensi che lentamente conduce alla follia, alla lotta, alla morte; sucessivamente, vedranno la libertà, una libertà fallace perché aperte finalmente le porte del loro luogo di prigionia si ritroveranno amaramente a passare dal labirinto razionale, la quarantena, alla prigione ben più vasta di un mondo sconvolto e irriconoscibile. Con pennellate orrorifiche che rasentano quasi il sadismo, il narratore onnisciente in maniera chirurgica, ma mai distaccata, mai fredda, descrive passo dopo passo l'avventurarsi dei personaggi nell'oblio, nella follia e nella degenerazione della natura umana che la cecità mette a dura prova. La cecità è, inutile dirlo, molteplice metafora di diverse e infinite cecità del corpo e dell'anima. Quando è l'intera popolazione ad esser contagiata dal male bianco, ad una cecità personale, interiore, si affianca quella della società: la definizione del sé, che dipende dalla relazione con l'altro, dal sapersi distinguere dall'altro, viene completamente riscritta. Non solo: tutte le dinamiche sociali vengono messe in discussione, con ricorrenti riflessioni sulla società, sull'organizzazione e la gestione del potere. Più volte mi è venuta in mente una citazione shakespeariana: "Che epoca terribile quella in cui degli idioti governano dei ciechi". Questa è l'epoca di Cecità.